Coltivare il senso del tatto
18 settembre 2018
Coltivare il senso del tatto. Tornare …non andare
La nostra salute può essere salvaguardata o ritrovata anche coltivando il senso del tatto.
“Dice un poeta arabo che la felicità non è una metà da raggiungere, ma una casa a cui tornare. Tornare …non andare”.
Questa frase (tratta da “La tenerezza“ di Gianni Amelio) ci dice quanto sia importante (ri)trovare gli aspetti originari della nostra esistenza, integrandoli con la consapevolezza di una realtà che spesso, per molteplici ragioni, ci ha allontanato da essi, certamente arricchendoci per altri
Le mani di mamma e papà
Nei primi mesi di vita, quando il linguaggio verbale non è ancora disponibile, il tatto, o meglio, il “tocco” (carezze, massaggi, abbracci, baci, ecc.) è la fondamentale via di comunicazione.
Le mani di mamma e papà dicono al piccolo non solo quanto è amato, ma sviluppano anche una profonda, reciproca conoscenza.
È questa una delle vie privilegiate su cui scorre quella che definisco “l’antica lingua”, pre-verbale e pre-logica, la lingua della comunicazione autentica, dell’arte, dell’incontro che cura, dell’amore.
Il dialogo, in questi casi, passa attraverso il tocco.
La vita intrauterina
Già nella vita intrauterina i recettori del tatto sono l’unica fonte di contatto con il liquido amniotico che, ad ogni movimento della mamma, ondeggia e fluttua determinando un gentile massaggio su tutta la superficie del corpo.
Dioniso e Apollo
La cultura occidentale, animata da una passione teoretica, ha privilegiato l’aspetto speculativo rispetto al toccare.
Ha diviso la persona in due parti, tra Dioniso e Apollo; l’ha scissa, cioè, tra energia vitale, (illimitata, non razionale) e un’identità che è solo definizione (circoscritta, razionale).
Così per comunicare con l’altro viene richiesto un atteggiamento convenzionale, artificialmente neutro. Dobbiamo isolare le nostre risorse energetiche. Fino a giungere, in questo modo, a codificare e sclerotizzare la convivenza tra gli esseri umani. (Come ci fa notare Gloria Gaetano, nella presentazione del libro “Elogio del toccare” della psicoanalista belga Luce
La cura
In una relazione di cura, però, il Medico che pratica quella che ho definito la cura mite, non può prescindere dalla specificità dell’individuo, egli attingerà, anche avvalendosi del contributo essenziale e sinergico della cultura orientale, a quell’energia vitale (o relazionale) che la nostra cultura ha spesso soffocato.
In taluni casi ci si renderà conto che è proprio la pelle, il contatto reciproco che avviene su di essa, a permettere di riscoprire una nuova e più autentica relazione, una comunione intima, con l’altro.
Il linguaggio del corpo
Poniamo attenzione al linguaggio del corpo! Ogni pensiero, ogni emozione viene elaborata e fissata nelle nostre cellule. Lascia in esse, e quindi nei tessuti e negli organi, un segno permanente. Cellule, tessuti, organi rappresentano la nostra “scatola nera” dove tutto è registrato. Una memoria stabile senza rimozioni o amnesie.
Sciogliere i nodi in cui si annidano le tensioni (spesso vere e proprie “cisti energetiche”) può essere un’esperienza che aiuta il percorso di consapevolezza di sé.
L’antica lingua
Il corpo e la mente ridiventano così un’unica entità con molteplici funzioni. Ogni funzione è correlata alle altre, condizionandole ed essendone condizionata. Molte discipline mediche in particolare la PNEI (psico-neuro-endocrino-immunologia) hanno dimostrato su basi scientifiche l’incontrovertibile evidenza di queste correlazioni.
Ma, oltre a questo aspetto razionale e scientifico, (e cioè l’imprescindibile formazione anzitutto medica, completata da quella psicologica e psicocorporea) che rappresenta la parte “apollinea”, nel senso sopra citato, della cura, è altrettanto importante la parte “dionisiaca” e cioè quella che libera l’energia vitale e si esprime attraverso “l’antica lingua” . La cura è quindi soprattutto un atto medico che richiede competenze e tecniche specifiche, ma non può non essere anche un atto creativo che apre un dialogo sublime.
Ti toccai e si fermò la mia vita
Chiudo la riflessione di oggi estrapolando da una poesia di Neruda i seguenti versi
Quante volte, amore, t’amai senza vederti e forse senza ricordo,
senza riconoscere il tuo sguardo, senza guardarti…. T’amai senza che io lo sapessi…
D’improvviso, … ti toccai e si fermò la mia vita
Pablo Neruda (da “cento sonetti d’amore”)
https://www.facebook.com/rstudiomedicopsicologico/
www.studiomedicopsicologicosanremo.it
Dott. Riccardo Battaglia

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